Ci sono immagini che non raccontano una storia evidente, ma che sanno evocare emozioni profonde e inaspettate. La fotografia di Silvio Moresi, che ritrae i braccioli di due semplici sedie di plastica, appartiene a questa categoria di immagini: essenziali nella forma, potenti nel significato.
A un primo sguardo si percepisce soltanto il colore, un blu intenso che avvolge lo sguardo e invita alla calma. Poi, lentamente, emerge la relazione tra le due superfici curve, vicine ma distinte, che si sfiorano senza mai toccarsi. È in quella distanza minima, in quel “quasi incontro”, che nasce la suggestione: due esseri umani che si sostengono, che condividono uno spazio, una fragilità, una speranza.
La texture della plastica, sorprendentemente simile a una pelle, amplifica la sensazione di vicinanza umana, trasformando un dettaglio quotidiano in un simbolo universale di solidarietà e compassione. Non c’è bisogno di volti, gesti o parole: basta la forza delle forme e del colore per trasmettere felicità, serenità e fiducia.
Questa immagine ci ricorda che ogni fotografia nasce prima di tutto da un momento interiore: un istante di fermo, di raccoglimento, in cui chi scatta non osserva soltanto la realtà esterna ma ascolta anche il proprio sentire. È un dialogo silenzioso tra fotografo e soggetto, tra ciò che appare e ciò che si desidera rivelare.
Guardare una fotografia significa allora lasciarsi attraversare da questo dialogo. Non importa se ciò che vediamo sono sedie, ombre o dettagli minimi: ciò che conta è lo spazio emotivo che si apre in noi, la possibilità di scoprire nelle cose semplici un riflesso della nostra umanità.
Forse è proprio qui che risiede la magia della fotografia: nel trasformare l’ordinario in straordinario, nel farci vedere negli oggetti il volto invisibile delle emozioni.
Testo di Nicoletta Simone
